La differenza va cercata non tanto nell'interminabile e un po' noioso racconto che Maniero fa di sé , ma nel come lo fa.
Parla in penombra, non si vede mai il suo viso, come se parlasse per interposta persona (deve proteggere la sua nuova identità).
Al contrario, in primo piano c’è sempre Roberto Saviano e, in termini linguistici, il vero soggetto della serata è lui.
Per paradosso, non è Maniero che parla, è Saviano che interpreta Maniero, avvallando l’immagine di un giovane ambizioso.
Ritmo perfetto di Aldo Grasso in 1800 battute come quello di Roberto Saviano in questo docufilm forse senza repliche.
Meglio guardarlo, ma basta ascoltarlo più volte per trovare un taglio del far west Veneto che ci eravamo dentro e non ne siamo fuori.
E oggi forse peggio di ieri, senza sconfinare in una sorta di «criminalità dal volto umano» se confrontata con mafia o camorra.
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