martedì 1 marzo 2011

Una generazione di giovani coraggiosi (1) - Emiel PUTTEMANS

Recupero una comunicazione di quasi due anni fa che ho fatto girare via mail fra gli amici. Riprendevo allora un bel post di Orlando PIZZOLATO (visibile nella sua interezza in archivio) per fare alcune considerazioni personali sul suo incontro col belga Emiel PUTTEMANS.

Un altro podista che teneva ritmi terribili nella corsa “lenta” era Emiel Puttemans. Avevo incontrato questo belga, molto forte nei cross e nelle gare indoor, in raduno a Tirrenia. Gli aneddoti che circolavano riguardo tale podista erano tanti, tutti inevitabilmente “terribili”. Si diceva che corresse piano solo il primo chilometro, a 3’40”, e poi tutti gli altri erano decisamente più svelti. Con tali presupposti nessuno voleva correre con lui, ma tutti eravamo un po’ incuriositi di verificare le dicerie nei suoi confronti. In quel raduno, che risale all’inverno 1979, si era deciso di uscire con lui per una tranquilla seduta pomeridiana in pineta (al mattino si era tirato un po’ ma senza eccedere; era una giornata di mezzo carico).
In sua compagnia corremmo per mezzo allenamento perché mano mano che passavano i chilometri l’atmosfera si faceva pesante. La situazione era degenerata anche a causa delle continue alternanze di posizione: a correre con lui eravamo una quindicina di podisti (c’erano anche altri belgi, francesi e spagnoli) e siccome la strada in pineta era stretta, contorta ed il fondo presentava buche, radici e pigne, ogni tanto si perdeva terreno, altre volte si accelerava e questo andirivieni aveva acceso le polveri. Io mollai dopo una decina di chilometri, quando correvo ad impegno da corsa media; sarei potuto arrivare alla fine con il gruppo, ma lo sforzo era eccessivo. Quell’allenamento finì in pista con una frazione di 2 chilometri percorsi in 5’53”.
La supremazia di Puttemans, che negli allenamenti in pista girava anche a 2’35” al chilometro, rompeva un po’ le scatole a tutti e la soddisfazione che volevamo prenderci era programmata di lì a poco. Una volta ci organizzammo per “fargliela pagare”. Attendemmo che lui facesse un allenamento tirato in pista, di quelli appunto da 2’35/40” al chilometro e all’indomani, quando lui doveva/voleva fare una corsa di rigenerazione, ci preparammo in maniera adeguata. Quella mattina mi batteva forte il cuore ed avevo le mani sudate quando ci ritrovammo alla pista del centro Coni per fare lo stretching pre-allenamento. All’uscita dal centro percorremmo il primo chilometro, lasciando lui davanti come sempre, al passo di 3’48”, e quando imboccammo il vialetto della pineta, impercettibilmente aumentammo l’andatura di corsa un po’ alla volta. Verso il 3° chilometro già si andava a 3’30” circa, che diventò approssimativamente 3’20” al giro di boa del circuito, quando transitammo per un tratto di strada asfaltata. Il ritorno si corse al ritmo del corto veloce (3’10/15”) e solo quando la nostra vittima, che per un bel po’ era stato al gioco, si staccò di qualche metro, ci fu chi infierì sul “moribondo” staccandolo brutalmente. Io avevo mollato un po’ prima, ma arrivai al centro Coni prima di Puttemans perché ad un certo punto lo superai quando proseguiva imballato.
Il giorno dopo il nostro mal di gambe per lo sforzo sostenuto ci indusse a correre per conto nostro. Ci riferirono che quella mattina Puttemans chiese di noi prima di uscire ad allenarsi. Disse che si era accordato per correre in nostra compagnia!

Bravo Orlando! Ci hai offerto un aneddoto simpatico e istruttivo che commentavo ai miei amici in questo modo.

Il racconto di Orlando è molto interessante perché descrive come possa essere stimolato giorno per giorno (per Emiel più volte al giorno) il meccanismo aerobico. Se la brillantezza del momento lo consente, anche la corsa di rigenerazione può diventare una progressione dalla corsa lenta alla soglia aerobica fino a quella anaerobica: per Emil una bella spazzolata da 3’40” fino a sotto 3’00”/km. Ognuno faccia le debite proporzioni con la potenza del proprio motore e potrà utilizzare lo stesso strumento. Altro particolare interessante che viene descritto e distingue il campione è la capacità di sopportare grandi carichi di lavoro ravvicinati che, adeguatamente recuperati, producono poi grandi risultati. Questa è la stratosfera dell’atletica. Noi corriamo con i piedi per terra.

Erano passati alcuni anni dal picco glorioso del settembre 1972 quando la forma era così smagliante da portarlo all'argento sui 10'000m alle Olimpiadi di Monaco (03/09), immediatamente in scia al finnico Lasse VIREN (WR 27'38"35 vs. 27'39"58), e a due record del mondo in successione sui 3'000m 7'37"6 (Aarhus DEN 14/09) e dei 5'000m 13'13"0 (Bruxelles BEL 20/09); ma Emiel si manteneva bene nel tempo e arrivò sotto le 2h10' in maratona nel 1982 alla buona età di 35 anni.


Al di là di aneddoti e delle note statistiche di circa 40 anni fa vediamo di ripercorrere alcuni punti significativi, magari meno noti, di quel periodo in cui si diffuse in tutto il mondo l'interpretazione moderna del mezzofondo per merito di una generazione di giovani coraggiosi.

Se si entra in YouTube per guardare i 10'000m (devastante il primo giro in 60"!), non si possono perdere i 5'000m (Emiel solo 5° nella seconda opera d'arte tecnico-tattica di Lasse VIREN). Quanti anni avevano i protagonisti? PUTTEMANS a 25 anni era fra i più vecchi. Stessa età per Frank SHORTER USA (che vincerà la maratona pochi giorni dopo). Lasse VIREN, Dave BEDFORD ENG, Ian STEWART SCO avevano 23 anni. Steve PREFONTAINE USA addirittura 21. Solo per nominarne alcuni.
 Se poi scendiamo ai 1'500m troviamo 24enni come il vincitore Pekka VASALA FIN e Brendan FOSTER ENG, 23enni come Mike BOIT KEN e un 22enne Rod DIXON NZL (vincerà NYC marathon 1983 in 2h08'59"). Tutti assieme sembravano i cuginetti del maturo 32enne Kip KEINO KEN, già allora una leggenda non solo nel suo paese, e vincitore in quella stessa olimpiade dei 3000 siepi.

...   continua   ...

2 commenti:

Matteo Vivian ha detto...

Ho partecipato a pochi raduni a livello nazionale da allievo, ma ho diversi ricordi di situazioni come quella descritta da Orlando: si partiva piano poi si aumentava il ritmo e ne retavano solo pochi sino alla fine della "gara". Io purtroppo non ero tra quelli.
Anch'io ho argomenti su questo tema, a breve anche i miei resoconti statistici.

Enrico VIVIAN ha detto...

a volte la competizione si scatena anche in allenamento e può essere utile per esplorare insieme nuovi territori della fatica, benché sia molto difficile avere la compagnia giusta e valutare con equilibrio la situazione

tornando all'aneddoto di Orlando, quello che era quotidianamente allenante per Emiel era troppo impegnativo per altri; nel giorno seguente al lavoro più intenso Emiel si è staccato, stanco ancora prima di partire, ma era pronto a confrontarsi nel giorno successivo dopo aver recuperato

è già riempito il blog se cominciamo con le statistiche; gli anni attorno al 1972 sono molto interessanti: farò ancora qualche link per esporre considerazioni più generali

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